Designer, le fabbriche e l’impossibile

Odo Fioravanti, Giulio Iacchetti

La prassi quotidiana di chi si trovi a praticare il nobile lavoro del disegno industriale in Italia è rappresentata dall’incontro con realtà produttive, segmenti manifatturieri, tecniche, capacità ed esperienze strabilianti ed esclusive proprie del tessuto economico nazionale. Sono sempre espresse in forma di meraviglia le parole delle aziende e dei designer stranieri che hanno visto idee che sembravano solo ipotesi fluttuanti diventare possibilità attuabili.  

Allestimento, Foto Max Rommel

La solidificazione delle idee si configura così come una caratteristica del paesaggio industriale e semi‐industriale italiano. Le idee, qui in Italia, possono trasformarsi da sostanze evanescenti e iridescenti a prodotti solidi, fino a manifestarsi come emozionanti presenze che rappresentano una sfida accettata e vinta. Ecco così prendere forma l’idea di una mostra che porti in scena il racconto di queste capacità singolari, un racconto fatto per esempi paradigmatici di prodotti che hanno spinto le tecniche, le sperimentazioni, i materiali e il saper fare oltre il limite conosciuto, ponendosi come nuovi paradigmi.

Per molti versi una raccolta di storie che potrebbero sembrare “sintomi” di una sorta di “pazzia produttiva”, incarnata da persone che scommettono, spesso guidate da un: “proviamo a fare”, invece di adagiarsi su un comodo: “non si può fare”.

Questa esplorazione dell’industria italiana fa emergere un arcipelago di esperienze riuscite che rappresentano i picchi di un’attitudine che ha reso unica la nostra nazione. Un sistema di aziende medie o piccole che però ha sortito il gigante effetto di cambiare la storia della cultura materiale del mondo. La stessa idea della disciplina del design che da mero disegno degli oggetti si trasforma in medium e strumento poetico di racconto e di riflessione, rimane un traguardo che si deve alla nostra storia produttiva e progettuale.

Il racconto si svolge come un piccolo atlante di prodotti finiti, ma anche di prototipi che rappresentano step di sviluppo di questi pezzi e di campioni che segnano i differenti passaggi produttivi, che – come in un ideale processo di congelamento delle fasi – danno la possibilità di leggere la metamorfosi della materia che si fa oggetto di senso compiuto.

Esporre percorsi progettuali e risultati così insoliti e imprevisti è un modo per raccontare l’attitudine tutta italiana delle nostre imprese a vivere e trasformare problemi in opportunità. Con l’idea di poter trovare sempre un imprenditore italiano disposto a rendere “possibile” l’apparente “impossibile”, a traslare informazioni e conoscenze da un mondo merceologico all’altro, da una prassi industriale all’altra, senza rigidità, con una passione pura per il fuori canone, con un atteggiamento euristico professato in modo leggero e profondo insieme.

Questa mostra, ospitata nelle sedi degli Istituti Italiani di Cultura nel mondo, è uno strumento che intende promuovere il “saper fare”, così da poter attrarre altre menti creative. Un’occasione per facilitare il dialogo e la collaborazione tra aziende italiane e internazionali, ponendo in essere un repertorio di episodi di ricerca e sviluppo perfettamente riusciti, ossigeno puro per chi cerca luoghi produttivi aperti a incontrare idee che puntino verso l’innovazione, portando sistemi economici diversi a incontrarsi e scambiare energie.

E soprattutto si consuma un’epifania della bellezza nella sua forma più pura: quella che plasma le cose e i gesti produttivi, dandogli un senso profondo che supera l’estetica della loro parte fisica e si amplia fino a concetti di giustezza – per l’adempimento degli scopi – e giustizia – per gli effetti di costruzione di un migliore futuro possibile.

Approfondimenti:
Esiste la biodiversità per gli oggetti?
— Francesca Picchi

I bisogni son desideri
— Enrico Morteo

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